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Channel: Edifici abbandonati – Sardegna Abbandonata
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Costrutti della Stazione di Monti-Telti

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Un tempo qui era tutta città

Un costrutto presenta una struttura e un ordine più o meno saldi e funzionali. Un tempo era il caso dei costrutti della Stazione di Monti-Telti: edifizi sparsi nell’intorno dai molteplici usi, che in questi decenni hanno perso qualunque senso d’essere e forse ogni memoria della loro funzione. Tra ruderi di caserme, una chiesetta campestre, capannoni reduci della seconda guerra modniale, l’ex fabbricato viaggiatori delle SocietàitalianaperleStradeFerrateSecondariedellaSardegna con bello scalo merci, sorge un edificio a due piani molto caratteristico, una rarità ormai introvabili salvo che nei paesini in spopolamento.

Parte tutto dalla ferrovia, nostro grande amore: dalla stazione abbandonata di Enas proseguendo lungo i binari per una decina di chilometri la serendipità ci porta a questo nuovo scalo. Qui, davanti a tanto abbandono, al decostruttivismo architettonico dell’accademia contrapponiamo il decostrutto spontaneo dal tempo, dalla storia e dalla natura. Ai Frecciarossa di Trenitalia noi preferiamo le littorine fantasma della compianta ferrovia Monti-Tempio.

Ci troviamo nella famosa cittadina di Monti, con all’attivo due fermate ferroviarie: la Monti-Telti e Su Canale. Nelle immediate vicinanze troviamo delle vecchie caserme: gli edifici usati dai militari sono praticamente dei ruderi, di difficile accesso a causa di sterpaglie e rovi; diversi non hanno tetto e infissi, mentre altri conservano la loro interezza, visto che sono usati come depositi da lavoratori della “zona”. Di fianco sorge un caseggiato che sta cadendo a pezzi, ma che all’interno “nasconde” un vecchio divano senza alcuni cuscini, una TV senza vetro, una stanza senza una parte di tetto e un pavimento moquettato in guano columbidae, nonché caminetto, piccola cucina a gas e bagno.

Spostandosi a nord verso altri edifici dell’ultima grande guerra civile europea, poco dopo il passaggio a livello ecco una casetta decadente senza porta, circondata da una barriera di roveti: tutto ciò accende la nostra scimmiesca curiosità. L’abitazione a due piani inizia con uno stanzone sulla sinistra, dove di fianco al camino, un cucinino arrugginito fa angolo con dei ripiani ancora pieni di bicchieri sporchi, piatti e tazzine; in mezzo giacciono materassi buttati per terra e una sedia. Nella piccola stanza di destra invece, un altro camino, splendido, con la cappa colorata e un disegno fatto di conchiglie nel mezzo, sembra sia lì solo per scaldare il tappetto di guano che si è formato negli anni, sotto le mensole nidificate. Il sottoscala è un qualcosa di romantico, che stringe il cuore, di tempi andati che furono, di cose che stanno sparendo forse anche dalla memoria, che rimanda a case di anziani e di persone di altri tempi. Non è definibile bagno, forse più “angolo lavaggio” (a pompa?), e sia lo specchio che i ripiani originali derivati dalla struttura, aprono una voragine nelle nostre menti e i ricordi affiorano copiosi: visite a parenti sconosciuti in paesini che stanno morendo, bitter, succhi di frutta, silenzi e immobilità su sedie dato che erano solo gli adulti a parlare – e guai a muoversi! – minuscole televisioni in bianco e nero che trasmettevano messe e notiziari, radio, centrini fatti a mano, rosari appesi alle sedie e donne avvolte in neri scialli vestite con il costume di tutti i giorni. I bagni come li conosciamo erano inesistenti, ci si lavava con catini, con l’acqua che d’inverno sembrava uscire a cubetti. E questa casa non fa eccezione, anche qui manca il gabinetto e tutto il resto. Il lavello è incastrato all’inizio del sottoscala, una bacinella occupa il suo scomparto e ancora, sotto i primi gradini, bottiglie, cassette e barattoli.

Alla fine della doppia rampa sulla destra, cercando nuovi ricordi e nuovi traumi, l’enorme camera da letto è occupata da grandi reti in ferro e voluminosi materassi: la testata di un giaciglio conserva imperituro un incredibile colore marrone scuro, e ci si perde nelle sue venature. Il mobile ha ancora all’interno vestiario e pentolame, per terra coperte e cuscini, secchi e altre bottiglie, una lampada e una TV, e sopra il tavolo un comodino ospita lo scheletro di un gatto: del resto si sa the cat is on the table. Il comò ha alcuni cassetti incastrati e dei contenuti intravisti. In generale, i colori dei mobili e la parte delle coperte non soggetta a polvere hanno mantenuto la loro natura originale, di cui una trama a fiori semplicemente meravigliosa. Sparsi in tutta la stanza libri gialli e non. Uscendo dall’ambiente dietro la porta, tra il mobile e il muro, i resti di un volatile, quasi certo un rapace visto il colore, dalle incantevoli piume, ancora morbide nonostante del corpo sia rimasto solo lo scheletro e nient’altro. Bellissime!

La stanza opposta è invece il contrario della prima: vuota. Solo una rete e, per terra, vecchie ricevute, lettere e una cartolina davvero caratteristica, alla quale hanno tagliato l’angolo col francobollo. Rimane il sottotetto, occupato da riviste degli anni ’80, da quotidiani ancora più vecchi, scarpe e da una grande valigia, aperta e vuota, che rimanda al senso del viaggio: del resto siamo attaccati ad una stazione, chissà quante valigie e bagagli saranno passati. Ci domandiamo se al loro interno ci fossero solo vestiari e oggetti di uso comune o anche sogni e speranze di una nuova vita. Noi, romantici e disillusi, tifiamo per l’immateriale.

Dalle scale in strada, pensando che libri e giornali trovati, calligrafia di firme e ricevute, fanno ritenere il proprietario fosse un uomo di cultura. Così la sensazione alla fine della visita non è di malinconia, ma di ammirazione, di calore, quasi stessimo lasciando la casa dei nonni, con la convinzione di ritornare il prima possibile.

Come non stimare i proprietari? Lui, muratore, si è costruito la casa da solo, ed è per questo che probabilmente la casa regge tuttora, così come il tetto, e ha costruito perfino la chiesetta poco dietro l’abitazione. La signora invece era casalinga. Gli eredi diretti dei due coniugi, i rispettivi figli, non hanno preso in carico l’eredità, ricaduta ora sui tantissimi nipoti che non riescono a dividersi la proprietà, che crediamo spetti di diritto per usucapione ai piccioni che l’hanno abitata negli ultimi anni. Piccola curiosità: il bellissimo portone che ornava l’ingresso ci riferiscono sia stato rubato. Che peccato, chissà che figura faceva con il semi cerchio di ferro lavorato e la ringhiera del terrazzino.

Sempre verso i depositi militari ecco l’ex fabbricato dei viaggiatori, naturalmente chiuso. Nascosta da un grande fico, con le ruote mangiate dalle piante rampicanti che abbelliscono un lato del caseggiato, una splendida Fiat Panda d’epoca è parcheggiata da chissà quanto tempo. Nei depositi bellici due pilastri in cemento, con sopra dei galli in pietra, reggono le ante di un cancello aperto e arrugginito, che indirizza verso i grandi capannoni. Alcuni di essi hanno tracce “recenti” di vita lavorativa, mentre quelli in fondo, senza più riparo, sono in stato di rovina. Ci sono rimasugli di sughero ovunque, dato che siamo di fronte ad un sugherificio e questo spazio aperto avrà visto molte grandi cortecce.

Sulla strada del ritorno, in silenzio coi propri pensieri e sensazioni rimane solo un quesito: perché costruire proprio qui una casa, lontano dalla città, senza servizi e vicini? Si trattava di un voto? Un fioretto? O semplice voglia di tranquillità e pace? Domande senza risposta, nemmeno della voce su Wikipedia: ma soprattutto un pretesto per ipotizzare e fantasticare.

Dove si trova: lungo la Strada Provinciale 147, a sinistra e a destra, prima e dopo, dell’incrocio con la ferrovia Cagliari-Golfo Aranci. Rispetto sempre, specie per le croci di sant’Andrea. Divieto di accesso in proprietà private, soprattutto quelle pubbliche ferroviarie, rischi di crollo, pericolo di morte e tutto il resto: ma tanto, dopo 10 anni, lo sapete già. Google Maps. Wikimapia.


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